Marettimo

A Marettimo l’orologio non serve. Il sole si abbatte implacabile sull’isola colorando le pietre e gli scogli di colori mai uguali. Ogni ora un taglio di luce diverso. Ed è così fino al tramonto.

Quando i gozzi dei pescatori rientrano al porto vecchio dopo avere mollato le reti. E le barchette con i turisti all’improvviso disegnano lungo la costa un corteo di formichine. Il paese si popola di centinaia di asciugamani e sull’uscio delle porte gli isolani si attardano a prendere il fresco e a vedere il passeggio. Alla stessa ora dalla montagna scendono con scarponi e bastoni gli appassionati di trekking, i patiti per le escursioni estreme o per le passeggiate di salute. Alle otto di sera sono tutti lì, fra la piazza e il corso, a precipitarsi nelle case dei pescatori che con pochi euro offrono un letto e qualche volta anche la cena. Marettimo, la più lontana delle Egadi, è fatta così, non ama la confusione, è il posto giusto per chi cerca tranquillità e calma. Senza fretta e senza rumori. Vive di ritmi semplici e antichi: le contrattazioni per aggiudicarsi il pesce più fresco alle otto di mattina, mare o montagna fino all’ultimo sole, grigliate di saraghi, triglie e vino bianco sotto una notte stellata.

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Quattro ristoranti, tre bar, un piccolo residence, nessuna automobile (tranne quelle che arrivano per scaricare le merci e sostano in una apposita area), un migliaio di persone in tutto, turisti e villeggianti compresi, zero discoteche. L’unica musica è quella di un vecchio jukebox, giù al bar del porto. Numeri da paradiso terrestre per chi vuole godersi in pace le bellezze che l’isola offre. Che sono tante e diverse. A cominciare dal borgo, un pugno di case bianche di tufo sparse come dadi ai piedi della montagna, strette fra due porti, quello nuovo dove attraccano gli aliscafi da Trapani e quello vecchio dei pescatori. Un villaggio di marinai di appena dodici chilometri quadrarti (in inverno 200 residenti) che già in primavera si trasforma in paese albergo. Le spiaggette e le cale  si raggiungono solo dal mare. Ombrelloni nemmeno a parlarne, anche perché le calette sono scavate dai marosi in anfratti dove la brezza non manca mai. Il giro in barca è il modo migliore per conoscerla da vicino. Si parte con uno dei tanti gozzi ormeggiati allo scalo vecchio. I marettimari sono grandi lupi di mare e la scelta si può fare ad occhi chiusi. D’inverno vanno in Alaska a prendere salmoni e d’estate accompagnano i turisti tra le magie del litorale. La grotta del cammello è la prima meraviglia, in fondo una spiaggetta di ghiaia, a sinistra uno scoglio che sembra un cammello accovacciato, nella penombra l’acqua si illumina di improvvisi scorci di luce che giungono dalle ferite della volta .

Si doppia Punta Troia, un promontorio sovrastato dal castello spagnolo, e c’è pronto un altro incantesimo, la grotta del tuono, dove il respiro del mare è amplificato dalle fenditure e dalla cassa armonica dell’antro. Da Cala Bianca a Punta Libeccio, il paesaggio diventa un’altra cosa. Giganteschi blocchi dolomitici esasperano la costa occidentale in una struggente sequela di vette e pinnacoli che si scagliano a precipizio sull’acqua. Da queste parti le chiamano barranche, dallo spagnolo barrancos che vuol dire dirupi. Che sta ad indicare anche la parte più dura dell’isola, ma anche la più bella. L’ombra di questi torrioni si allunga sullo specchio turchese rischiarato dalla ghiaia bianca come la neve, punteggiato da scogli che riproducono in scala le falesie di fronte a loro. Una collana di grotte spezza l’ordine rigoroso delle rocce, la più affascinante è quella del presepio, con stalattiti e stalagmiti che si divertono a giocare con le forme di una incredibile natività. Pur senza essere provetti subacquei ci si può immergere con l’aiuto degli istruttori dei diving, oppure si possono scoprire i meravigliosi fondali semplicemente con una maschera e un tubo.

Marettimo è una delle tre perle della riserva marina delle Egadi, e già a pochi centimetri l’effetto acquario è assicurato. Ma è il cuore dell’isola a concedersi di più, i suoi sentieri conducono a spasso fra cime e pianori abitati da cervi e mufloni, fra siti archeologici e castelli, in un trionfo di macchia mediterranea e endemismi unici al mondo, un giardino botanico con oltre 500 specie vegetali. E nessuno si stupisce se l’aliscafo insieme ai bagnanti sbarca squadre di montanari veri, armati di tutto punto per scalare sentieri e mulattiere. Alla portata di tutti è la passeggiata fino al castello di Punta Troia, un maniero spagnolo del Seicento, divenuto carcere fino al 1844. Si raggiunge con una stradina che dapprima sale sulla montagna, giunge allo scoglio del cammello con l’omonima grotta, e poi scivola a mare. Più impegnativa è l’escursione fino a Pizzo Falcone, il punto più alto di Marettimo, 686 metri (per le guide si può contattare la Rosa dei venti tel. 0923 923249).

Una strada lastricata conduce alle Case Romane, i resti di un presidio miliare del I secolo dopo Cristo. Da qui si seguono le indicazioni per Craparizza, si attraversano pinete e boschi abitati da mufloni e sorvolati da aquile e barbagianni. Le fontane assicurano acqua di sorgente in diversi punti dell’itinerario. Timo (dall’abbondanza di questa pianta deriva forse il nome dell’isola, mare e timo), cisto, erica, rosmarino, euforbia segnano l’aria di straordinari profumi che si perdono fra le infinite prospettive del paesaggio. Sulla vetta si gode uno spettacolo mozzafiato. Marettimo con tutti i suoi contorni e in fondo il profilo di Pantelleria, e più giù Capo Bon. Lo stessa meraviglia che provò alla fine dell’ottocento lo scrittore inglese Samuel Butler, studioso di Omero, che proprio da quassù riconobbe nell’isola la vera Itaca. Più che una suggestione, una malia. Una tesi che in cima a questi abissi è veramente difficile smentire.

di Giacomo Pilati