Quando Tommaso Rizzo ha aperto per la prima volta gli occhi deve avere visto qualcosa di simile: fascine di rametti di ulivo accatastati ai lati di un magazzino sotto le tegole, una stanza bianca di cemento con le tavole di lievitazione per il pane, una bocca di fuoco sempre aperta. Scintille, cenere, botti.
Sacchi di farina scura, marrone come il cacao. E un profumo che non si dimentica più. Caffè tostato, cioccolato, mandorla abbrustolita. Tutta una vita così, con gli occhi pieni di questa luce, col forno a scandire il battito del tempo. Come quella volta dello sbarco sulla luna, le mani affondate nella pasta, la faccia bianca, il forno da pulire e l’orecchio alla radiolina. Il piede di Armstrong, l’eccitazione del radiocronista, il mondo col fiato sospeso, e il pane da tirare giù. Con la storia che passa accanto e le braccia che all’alba pesano già due quintali.
C’è nella biografia di questo fornaio di Castelvetrano di 60 anni, la passione, la complessità, ma anche il futuro di un prodotto che ha grandi estimatori per le sue straordinarie qualità organolettiche, per gli inconfondibili profumi, per il sapore unico. Scorrono fra le pareti di questo antico panificio, le vicende di una economia che in questi ultimi 50 anni ha dovuto fare i conti con la bellezza delle proprie risorse economiche, specialità enogastronomiche e turismo, ma anche con la difficoltà di trasformarle in reddito, lavoro, sistema. Alcuni anni fa il grande salto nell’industria, c’era un mercato da accontentare che richiedeva pane nero e quello che c’era non bastava per tutti. “E’ stato uno sbaglio, nessuna catena di montaggio può riuscire a replicare la qualità del pane nero artigianale. La legna, gli antichi forni a pietra, le rese basse, fanno la differenza”, spiega Rizzo. Così è tornato al forno che lo ha visto crescere, ed ha ricominciato con lo stesso entusiasmo di prima.
Alla Dop continuano a pensarci tutti, le procedure con l’Europa sono state già avviate, ma senza troppe ansie: il disciplinare sottoscritto da una decina di fornai con Slow Food è già una buona partenza. Macinato a pietra, il grano è quello piantato dai greci che colonizzarono Selinunte. Si impasta miscelando due farine: rossulidda (russello), un grano biondo siciliano, e una parte (20 per cento) di tumminia (timilia), una preziosa varietà di frumento locale di colore nero. Gli altri ingredienti sono acqua, sale e lievito madre (criscenti). La tumminia è un grano che si semina a marzo, per aggirare inverni piovosi e talvolta anche per salvare il raccolto; cresce in poco tempo e si raccoglie a luglio. Ricco di sali minerali, conferisce al pane morbidezza e dolcezza. Si mola solo nei tre mulini di Castelvetrano, macine di pietra francese, capaci di mantenere basse temperature. Può essere a vastedda (pagnotta), filone, cuddura (pane attorcigliato), piede di bue (tipo farfalla). Il calore è alimentato dalle fronde della potatura degli ulivi seccate a particolari condizioni termiche. Il fuoco arroventa le pareti e la temperatura raggiunge in meno di un’ora 300 gradi. A fiamme spente si ripulisce accuratamente la pietra con una scopa di palma nana (curina) e si infornano le pagnotte, che cuociono lentamente. Quando il forno si è raffreddato, il pane è pronto. La crosta, cosparsa di semi di sesamo, è dura e di colore caffè. Al palato si apprezzano le dolci note di mandorle tostate e di carruba. E’ ottimo compagno di formaggi come il primo sale, il pecorino, la toma, la ricotta. Squisito con il pomodoro, l’olio, le sarde salate (cunzato), con il paté di olive, i carciofi, i pomodori secchi. Rimane fragrante pure fino a due settimane.
Ogni giorno i panifici di Castelvetrano sfornano 1.500 chili di pane, mercato locale, ma anche Palermo, Trapani e Catania. Nelle gastronomie di Bologna, Roma, Torino, Genova ci arriva tre volte a settimana. In provincia di Milano c’è un forno che si è specializzato nel pane nero, una coppia di castelvetranesi lo ha aperto alla periferia di Abbiategrasso “Buono sì, ma non è la stessa cosa. La legna degli ulivi di nocellara del Belice seccata alle giuste temperature, la lievitazione nei nostri magazzini impregnati di scirocco e tramontana, sono le condizioni irripetibili che fanno grande questo pane”, spiega Rizzo.
Un patrimonio che l’ università di Bologna ha valorizzato con uno studio specifico dai risultati sorprendenti: il pane nero di Castelvetrano stimola le funzioni cerebrali e ha un effetto calmante sull’organismo.
di Giacomo Pilati