La provincia di Trapani, con poche altre eccezioni siciliane, è la vera culla del cous cous italiano.

Giunto fin qui probabilmente per sedimentazioni culturali successive alla dominazione araba, il Cous Cous o Cuscus da almeno cinquecento anni si è stabilmente inserito nelle tradizioni del territorio della provincia di Trapani.

Di certo è arrivato dal mare, e probabilmente furono i marinai a diffonderlo nei porti di questo lembo di isola.

Grandi pescatori di spugne, i trapanesi per generazioni hanno colonizzato il mare tunisino di Sfax. Frequentazioni arabe che risalgono già ai commerci con i cartaginesi che facevano grande uso di semola, con aggiunta di formaggio e miele ed i Greci per questo li chiamavano “pultofagi”.

Una flotta peschereccia da primato ha accompagnato la storia di questa provincia che più di tutte si è spostata nel Mediterraneo combinando accordi e società con l’altra sponda. E ciò spiegherebbe anche per quale ragione questa pietanza non ha attecchito in altri porti della Sicilia.

Preparazione del cous cous

A Trapani non è mai stato un piatto della cucina dei ricchi, la sua estrazione popolare si è mantenuta fedele nei secoli rendendo difficile la ricostruzione cronologica delle sue vicende. L’unica gastronomia scritta appartiene alle mense baronali dove non c’è traccia di cous cous; ai poveri le tradizioni orali. Ancora oggi fa parte della dote nuziale l’attrezzatura per il Cous Cous e non c’è famiglia in cui non vi sia una maestra di questa ricetta.

Un piatto che è anche usato per indicare una tipica costruzione trapanese del secolo scorso con la disposizione delle camere in verticale su diverse elevazioni “a pignata di cuscusu” ( la pentola di cuscus ), e un tipo di cemento “u cuscuseddu” (semolino) utilizzato nell’edilizia per le piccole manutenzioni. Difficile crederci, ma per colpa sua pure qualche matrimonio è andato in fumo da queste parti.

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Si, perché da una signorina non bastava pretendere che sapesse cucire, ricamare e cucinare. Doveva sapere fare il Cous Cous. Non importava poi se reggeva il confronto con la suocera, l’importante era districarsi fra terraglie, brodo e semola. Roberto Denti di Pirajno , il nobile gastronauta che raccontò l’isola degli anni ‘50 nel suo “Siciliani a Tavola” descrive così questa scoperta : “Il confronto con il cous cous nordafricano è trionfale per la Sicilia: quanto là era ed è cibo rozzo e triviale quando il grasso di montone lo imbeve diventa nel trapanese presentazione che esalta senza involgarire, dà sapore sottile e delicato alla semola senza trasformarla né in crema di semolino al sugo di pesce, né in pastone ammazzafame. Un accordo esatto, armonioso, che apre nel modo più piacevole il pranzo”.

La tradizione trapanese appare dunque vicina alle matrici arabo berbere. Le spezie combinate con il pesce ma anche con la carne e gli ortaggi sono un simbolo inequivocabile di questo incontro. Le diverse versioni di questo piatto anche all’interno dello stesso triangolo Trapani, Marsala, Mazara, sono la dimostrazione di quanto lunga e importante sia la sua storia non solo per i paesi del Mediterraneo, ma anche per le culture minori dei porti e dell’interno.

di Giacomo Pilati